Nel discorso di fine anno il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ribadito come sia “inconcepibile che i minori nati in Italia restino stranieri”. Nel nostro Paese vige infatti lo “ius sanguinis” in base al quale la cittadinanza si acquisisce per discendenza di sangue. In altri Paesi come Stati Uniti o Francia vige lo “ius soli”: si prende la cittadinanza del Paese in cui si è nati.
Questa stessa domanda ha suscitato una discussione sul sito del TG1 che ha in questi giorni accesso il dibattito, che vorremmo estendere ai lettori del nostro blog.
Il punto su cui vorremmo riflettere è anche un’altro, cioè il tenere semopre in considerazione la crisi che il concetto stesso di cittadinanza sta attraversando. Il termine “cittadinanza” fa appello al termine “sovranità” e, poiché il mondo degli stati sovrani si va via via globalizzando e i rapporti fra i singoli stati si infittiscono visibilmente, è dubbio che in futuro la cittadinanza conservi il significato integro e insostituibile che detiene oggi; ci pare inevitabile non riflettere anche su questo aspetto. Voi che ne pensate?
In attesa dei vostri commenti, inauguriamo oggi una nuova sessione del blog che auspichiamo possa stimolare discussioni e prese di posizione sui temi a noi cari; questa nuova rubrica si chiama Storie e raccoglie le storie di vita dei nostri testimonial (che qui diventano anche i nostri testimoni) e di tutti coloro che hanno voluto raccontarci la loro esperienza di migrazione. Oggi pubblichiamo la Storia di Idris Hussain Ali, curdo iracheno di 29 anni in Italia dal 2005 e venerdì pubblicheremo la seconda.
Se siete interessati a raccontarci la vostra storia inviatecela compilando il form che trovate in questa pagina: http://amitie-community.eu/italia/la-tua-storia/ !
Ho letto qualche post del dibattito sul sito del TG1 e quello che mi colpisce sono i ritornelli sterili di chi è contro l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte dei figli dei migranti: “Basta pensare ai problemi dei non italiani, in Italia c’è chi non ha più occhi per piangere, ci rubano il lavoro” ecc. ecc. ecc.
Ma questo cosa c’entra?
Altre voci, invece, raccontano dell’attesa fino alla maggiore età per poter (forse) ottenere la cittadinanza del Paese in cui una persona è nata, cresciuta, andata a scuola, al lavoro o in giro con gli amici. Parlano del fatto che spesso chi è nato in Italia non ha mai visto il Paese d’origine dei genitori ma è comunque straniero.
Secondo me chi non è d’accordo non ha una motivazione valida…
Anch’io credo che non ci possono essere motivazioni valide per non riconoscere il diritto alla cittadinanza ai figli dei migranti nati e cresciuti in Italia. Conoscere ed ascoltare le storie di chi si sente cittadino di fatto ma non lo è di diritto può contribuire a modificare atteggiamento di fronte al dramma che migliaia di giovani vivono e alle tante conseguenze che questo non diritto comporta nelle loro vite Perchè questa è la condizioni di moltissimi giovani nati in Italia, cresciuti in Italia che si sentono italiani ma non lo sono. Riconoscere questo diritto significa riconoscere il diritto di vivere una vita come gli altri ragazzi italiani e riconoscere il contributo culturale, economico, sociale, umano che portano nella società italiana.
Basterebbe anche guardarsi intorno, conoscere meglio chi vive nella nostra città, le famiglie, gli studenti, i lavoratori, i compagni e gli amici dei figli, i vicini di casa, ecc e iniziare a pensarci tutti cittadini di fatto e di diritto.