Il foto racconto di Marcos Moreno (AMITIE)
Spesso sul blog di AMITIE vi parliamo di pluralità, storie di vita che solo apparentemente ci sono estranee. Parliamo di come le città affrontano le questioni relative alla migrazione. Questa volta vogliamo farlo in una maniera diversa, senza parole.
Convinti che le migliori storie si raccontino da sé e comunichino anche senza parole, appunto, vogliamo presentarvi oggi questa bellissima galleria fotografica realizzata da Marcos Moreno, un fotografo spagnolo specializzato nel foto racconto.
Marcos Moreno è un fotoreport di 37 anni, collabora con moltissime agenzie (AFP – Agence France-Press, ecc.). Nel 2009 ha vinto il National Journalism Awards con Sorriso di un Naufragio.
Ne ha parlato anche www.repubblica.it e questa serie di scatti sta, letteralmente, facendo il giro del mondo. Il titolo, Hastìo y Esperanza, parla da sé. Vi consigliamo vivamente di guardarla con attenzione, ecco il link http://www.marcosmoreno.com/inmigracion/ e, qualora aveste altre storie o racconti da suggerirci, vi preghiamo di farlo utilizzando i nostri canali Facebook e Twitter (aggiungendo l’hashtag #stories) o via mail.
Nessuno è colpevole, siamo tutti colpevoli.
Così si conclude questa serie di scatti…
Le foto di Marcos Moreno mi fanno pensare ai focus group di AMITIE sulla comunicazione sociale, condotti da Leyla al CDLEI, e le prime presentazioni di Giulia e Alice (Cineteca di Bologna) sulla filosofia della campagna AMITIE, insieme ai partner stranieri, dove ci trovavamo tutti d’accordo – o quasi – sulla necessità di evitare la “spettacolarizzazione” della sofferenza per tutelare la dignità delle persone rappresentate. Beh, guardando queste splendide immagini, mi chiedo, perchè mi piacciono? Forse perchè rappresentano anche il momento della speranza e della salvezza? O perchè rendono reale e fanno accadere davanti ai nostri occhi qualcosa che solitamente leggiamo, sentiamo, scorgiamo al volo in un telegiornale, ma su cui non ci soffermiamo mai – o non più – per più di qualche secondo, perchè ormai sappiamo (o anche perchè non vogliamo sapere)?
Ciao Lucia,
proprio in questi giorni sto leggendo un libro del sociologo francese Luc Boltanski, lo spettacolo del dolore (2000).
Lui analizza le modalità di comunicazione adottate dalle varie ONG, ne estrapola tre (lui le chiama topiche).
Alla fine arriva ad un interrogativo fondamentale: come sfruttare i media (per i nostri scopi) senza cadere nella “logica dei media”?
Io, riflettendo, credo che le vie siano ben poche… forse nessuna!
Molte volte, però, si possono riconoscere tentativi di racconto che adottino approcci dignitosi.
Credo che Moreno abbia fatto questo, sia stato umile.
Ha cercato di metterci di fronte alla realtà, a quanto quotidianamente cerchiamo disperatamente d’ignorare per quieto vivere
e lo ha fatto tutelando al massimo la dignità di queste persone.
Questa, ovviamente, è la mia opinione.
Giuseppe (autore dell’articolo).
Grazie Giuseppe, molto interessante ciò che dici…sono molto d’accordo con te, mi incuriosiva capire che cosa fa la differenza, cioè che cosa fa si’ che la dignità sia rispettata pur nella rappresentazione della sofferenza…
Io credo che molte ong e organizzazioni impegnate in ambito umanitario comincino a sensibilizzarsi su questo tema. Alcune hanno adottato dei codici etici interni, altre cominciano a pubblicare posizioni e linee guida. Segno – credo – di un’evoluzione, seppure tuttora in fase embrionale. Allo stesso tempo però anche il cittadino puo essere supportato nell’osservazione degli stimoli che provengono dalle campagne, affinche possa intercettare i messaggi in maniera non passiva e selezionare criticamente gli input.
Sono assolutamente d’accordo,
credo che il cambiamento debba partire dal cittadino.
Un cittadino che diventa interlocutore, non destinatario.
Amitie, da questo punto di vista, sono convinto che abbia fatto molto. La prospettiva “dal basso” che caratterizza questa “comunicazione” è senz’altro quella giusta.
Giuseppe